La Storia dimentica gli stupri di massa

Sono da prendere in esame soprattutto tre tipologie: violenze che mettono in risalto il carattere di occupante dell’esercito angloamericano.
L’esempio rimasto più tristemente famoso è costituito dagli stupri delle truppe marocchine, ma è opportuno allargare lo sguardo anche ad altri casi di soprusi ed angherie sulla popolazione civile; violenze che rientrano nell’attività di vere e proprie bande e nei circuiti mafioso e camorrista; violenze che hanno una connotazione antifascista ed antipadronale come le rivolte contadine.
Lo stupro di massa si configura come una pratica propria del vincitore sulla popolazione civile, in particolare contro le donne. Ad essa non si può opporre alcuna forma di resistenza ed in questo senso costituisce una violenza totale, di cui l’esempio delle migliaia di donne bosniache violentate dai serbi costituisce una recente conferma.

Il ricordo degli stupri dei marocchini è stato rielaborato nel romanzo di Alberto Moravia “La ciociara” e nel film che Vittorio De Sica ne trasse nel 1960. La ricerca storica si muove con difficoltà su questo terreno, anche perché appare problematico superare la rimozione individuale e collettiva che ne è stata fatta.
Qualche tempo fa la rivista di studi femministi “Dwf” con un saggio a più voci è tornata sul problema delle violenze dei marocchini ad Esperia, nel Frusinate, con una ricognizione basata soprattutto su fonti orali.
Ne emergono alcuni importanti elementi di riflessione: i “goumiers” ebbero carta bianca perché riuscirono a sfondare la linea Gustav.

Nell’area del Cassinate e del Sorano furono violentate sessantamila persone. Il 20 per cento si contagiò di lue; ad Esperia la violenza fu sull’intera comunità. Vennero violentati anche gli uomini, lo stesso parroco e molte donne anziane che non furono in grado di fuggire; le conseguenze si fecero sentire anche nei rapporti interpersonali. Ad esempio per le giovani “marocchinate” fu molto difficile sposarsi ed  inoltre, quando gli uomini tornarono dalla guerra, manifestarono disagio e rabbia verso le mogli violentate; lo Stato rimase assente.

Il Comando francese concesse un indennizzo di cento-centocinquantamila lire. Vi fu inoltre la possibilità di chiedere la pensione come vittime civili della guerra, ma i tempi delle pratiche erano assai lunghi e venne vietato di cumulare l’indennizzo con la pensione.
Alcune donne non violentate tentarono anch’esse di ottenere l’indennizzo.

La memoria di tale esperienza è da porre in rapporto con le domande critiche di Tahar Ben Jelloun, che in un’intervista a “Il Mattino” del 10 settembre 1993, cerca di prendere in esame il punto di vista dei marocchini.
L’equazione marocchino-stupratore, diffusa soltanto in Italia, avrebbe delle valenze razziste. La loro violenza, secondo lo scrittore, era connaturata alla condizione di soldati.

Egli osserva: “Era soprattutto gente che viveva sulle montagne: pastori, piccoli agricoltori, gente misera. I francesi li rastrellarono, li caricarono sui camion con un’azione violenta, di sopraffazione e li portarono a migliaia di chilometri da casa a compiere altre violenze. Le loro azioni brutali
vanno inquadrate in questo contesto.
I marocchini non erano e non sono degli assatanati sessuali come li descriveva ne ‘La pelle’ Curzio Malaparte. In Marocco ovviamente sono gli eroi di Cassino. Come tutti i soldati che hanno vinto qualcosa sono circondati da una retorica sufficientemente banale“.

Insomma le violenze dei marocchini sono lette come il frutto della più generale violenza della guerra. Di qui la necessità di superare la meccanica identificazione marocchino/stupratore.

Le violenze dei marocchini sono segnalate anche da altre fonti, come ad esempio alcuni documenti dell’Oss (Office of Strategic Services) che riportano casi di stupro a Teano e in provincia di Caserta.
Da ricordare infine una fonte di tipo letterario, il romanzo di Norman Lewis “Napoli 1944″, che si sofferma anche sulle reazioni, per così dire “da
contrappasso”, della popolazione.
A Cancello cinque soldati furono uccisi in una sorta di imboscata: “Li hanno attirati offrendo loro delle donne, poi del cibo e del vino che conteneva un veleno paralizzante. Quando erano ancora pienamente in sé li hanno prima evirati, poi decapitati”.

Si è detto in precedenza che gli stupri dei marocchini costituiscono la forma di violenza più eclatante di un esercito che si comportava da vincitore, ma soprusi ed angherie si ripetevano in continuazione ai danni della popolazione, riproponendo nel quotidiano un clima da truppe di
occupazione.

Insomma furti, rapine, stupri costituirono una pratica dei militari angloamericani che ne appannò l’immagine di liberatori, favorendo invece quella di esercito straniero d’occupazione. Il terrore nazista era, a distanza di poche settimane, ormai lontano, ma soprusi ed angherie degli
“americani” prorogavano una dimensione di quotidiana violenza che costituiva una sorta di coda del conflitto. Insomma la guerra era finita
perché non c’erano più né bombardamenti, né il terrore nazista, ma si continuava a vivere in una situazione di pace dimezzata proprio a causa del clima di forte insicurezza sociale contro cui lo Stato badogliano, attraverso l’opera di prefetti e questori, continuava a dimostrarsi
assente, corrotto e, per così dire, a sovranità limitata.
(da Rappresagli naziste, saccheggi e violenza alleata: alcuni esempi nel sud – di Gloria Chianese)

Non si conoscono episodi simili e di tale esoensione da parte delle truppe tedesche.

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